IL PROGETTO LADIS AL FESTIVAL DELLE CITTA’

Data notizia: 
26 Ottobre 2021

Un confronto a tutto tondo sulle pari opportunità quello che si è svolto nell’ambito del Festival delle città, l’ evento annuale organizzato da ALI in cui amministratori locali, rappresentanti del governo, del mondo della cultura e dei media si confrontano su temi di stringente attualità.

“Pari opportunità senza frontiere” è il titolo del workshop che ha messo al centro le politiche di pari opportunità, la parità di genere, i diritti e lotta alle discriminazioni basate sulla religione, sul sesso, sull’etnia.

A partire dalla presentazione dei  progetti  europei RAFFAEL- RedesigningActivities in a Family FriendlywAy in VitErbo’sworkplaces  e LADIS-Local ADministrations against Stereotypes and ISlamophobia, entrambi incentrati sulla promozione delle pari opportunità e del dialogo tra istituzioni locali, associazioni e soggetti del terzo settore, sono emersi spunti e riflessioni per migliorare le politiche di pari opportunità a livello locale e utilizzare gli strumenti e le pratiche già sperimentate.

Al dibattito, coordinato da Andrea Catizone, Direttrice del Dipartimento Pari Opportunità di ALI,  hanno partecipato Livia Turco, Presidente della Fondazione Nilde Iotti, Francesca Danese, portavoce del Forum terzo settore Lazio, Patrizia Di Santo, Direttrice dello Studio Come, Marwa Mahmoud, Consigliera comunale del Comune di Reggio Emilia e Presidente della Commissione consiliare “Diritti umani, pari opportunità e relazioni internazionali” e Aisha Valeria Lezzerini, Associazione COREIS- Comunità religiosa islamica italiana.

Il progetto LADIS – Local ADministrations against Stereotypes and ISlamophobia parte da un’analisi di contesto che evidenzia come  la comunità musulmana nel nostro Paese sia  una delle più rilevanti e il cuore del progetto è rivolto proprio alle donne, che sono quelle che subiscono maggiori discriminazioni.

Sul punto Marwa Mahmoud, consigliera comunale del Comune di  Reggio Emilia “Rispetto al tema dell’islamofobia ci sarebbe tanto da dire. Per come è stato illustrato si tratta di un crimine d’odio. È proprio il tema della discriminazione, dell’ostilità, della paura che si crea nei confronti di persone riconducibili alla fede musulmana. E le donne che sono portatrici di un simbolo che rimanda a quella religione sono le persone che maggiormente accusano  la crescente ondata di islamofobia che si è registrata negli ultimi anni in Italia e in Europa”

Ma quali sono i motivi alla base della discriminazione?

“Sicuramente-   continua  la consigliera di parità – è da collegare a quello che è avvenuto l’11 settembre  e a tutti gli episodi di cronaca che hanno creato un innesto abbastanza pericoloso, in quanto se da una parte c’ erano dei responsabili da condannare, dall’altra c’era una comunità che non aveva niente a che fare con questi criminali. E’ importante, in questo contesto, fare una  distinzione rispetto alle seconde generazioni, ossia ai figli dei migranti. Mentre le prime generazioni hanno vissuto in pieno questa atmosfera, che è stata molto negativa e xenofoba, e non avevano la padronanza dei codici linguistici e culturali, le nuove generazioni hanno un ruolo cruciale: sono costruttori di ponti, capaci di veicolare dei messaggi di pace e fratellanza rispetto ai genitori e questo, forse,produrrà degli effetti positivi”.

Quali sono le azioni che dovrebbero mettere in campo le amministrazioni locali?

“Il primo passaggio- spiega Marwa Mahmoud  è quello della consapevolezza,ovvero riconoscere l’esistenza dell’islamofobia e affrontarla nei dovuto modi, formandosi e acquisendo le chiavi di lettura che a volte non fanno parte della quotidianità di molti amministratori. La questione della multi confessionalità non può essere appiattita in un’unica dimensione. La diversità va valorizzata, chiediamo alle associazioni islamiche di aprirsi alle altre comunità e accogliere altri cittadini e cittadine. È importante comunicare di più e che ci sia la volontà politica di farlo”.

Andrea Catizone sottolinea come spesso ci si avvita sul tema della libertà: quando si sceglie di non mostrare una parte del proprio corpo,  per la cultura occidentale questa è una privazione della libertà di una donna.

“Le donne che decidono di indossare il velo lo fanno per dei motivi  differenti: per alcune ha un valore identitario, per altre spirituale,  ma questa stigmatizzazione fa si che le persone si fermino al velo e non guardino la persona. È necessario andare oltre l’apparenza, bisogna promuovere il dialogo e soffermarsi sulla libertà mentale, che tu sia coperta o meno, l’importante è che come donna ti senta libera”ha precisato la consigliera di parità.

Il progetto LADIS si interroga su come i Comuni italiani e le associazioni islamiche stanno facendo per combattere lo stereotipo e l’islamofobia.” E lo facciamo- afferma Patrizia Di Santo–  insieme ad associazioni di cittadini di fede mussulmana,  anche italiani, che hanno una fede diversa da quella cattolica. Poi diamo un forte ruolo al pubblico, perché solo il pubblico può fare la differenza e lo abbiamo visto bene con la pandemia in tema di sanità. Riconoscere un ruolo del pubblico che fa da regia e governa il territorio”

Aisha Valeria Lezzerini dell’associazione  Coreis  spiega“ Con LADIS si lavora insieme alle amministrazioni locali e questo è molto importante. Un grosso problema oggi in Italia è rappresentato dal fatto che manca un’ intesa che riconosca uguali diritti su tutto il territorio nazionale, ma c’è una situazione a macchia di leopardo che fa dipendere dalla virtuosità dei singoli territori il  riconoscimento di  diritti, spesso fondamentali.  Per esempio la questione delle aree di sepoltura islamica è un problema che è venuto a galla durante la pandemia e rispetto al quale il ruolo degli enti locali è fondamentale. LADIS raccoglie le buone pratiche già messe in atto dalle amministrazioni locali ed è bene diffonderle e semplificare i rapporti tra le stesse associazioni e le amministrazioni locali”.

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